Non è discutibile la bravura della Cassi come interprete di certa sguaiata toscanità né le sue qualità canore, sicuramente apprezzabili. Né tanto meno l’esuberanza del suo carattere e delle sue mimiche, inarrivabili. A proposito, ha una lingua larga come un battistrada. Ma com’è possibile?
Quello che non digerisco è l’eccessiva volgarità abbinata a musiche e testi battistiani in un evidente svilimento delle canzoni di un autore cult a tutti gli effetti e, perché no, dei nostri ricordi adolescenziali.
Scherzare non è vietato, anzi, ma un qualche equilibrio occorre. Lo spettacolo invece uccide Battisti e celebra la Cassi ed i suoi lazzi, oltre il giusto limite. Solo a fine spettacolo un pezzo viene eseguito interamente e non storpiato da commenti e gag.
Per non dire poi di alcuni sketch già apprezzati in altre esibizioni dell’attrice, inseriti in modo approssimativo nel percorso musicale e di revival dei primi maldestri amori di una generazione.
Eppure l’occasione era buona per parlare di quei giorni, di quello che si provava, della diversità che si agognava, di un tempo in cui c’erano delle speranze e come esse fossero vane e nemmeno sempre oneste. E perché no anche di quanto fossimo ridicoli, anche noi, con quelle camicie strizzate e quei jeans a pelle e a vita bassa. Ridicoli almeno quanto i ragazzi di oggi con i pantaloni calati sotto il sedere e le piccole polo firmate.
Il pubblico però si diverte e ha, per definizione, sempre ragione.
Ossequienti alle leggi del successo dovremmo dire evviva la Cassi, evviva Vespa, evviva i reality, evviva i film di natale…evviva Berlusconi. Evviva tutti i vincenti, se ne abbiamo lo stomaco.